A quarant'anni da «Sputiamo su Hegel»

di Imma Barbarossa

 


Credo che dobbiamo essere tutte e tutti grate alle organizzatrici del convegno "Taci anzi parla" su "Carla Lonzi e l'arte del femminismo" che si è tenuto dal 5 al 7 marzo a Roma, alla Casa Internazionale delle Donne che l'ha ospitato con un grande senso di gioioso orgoglio e all'assessora provinciale Cecilia D'Elia che ha voluto farsene carico. Si è trattato di un progetto di ampio respiro sia per le intellettuali e le studiose coinvolte che per la mostra fotografica allestita da La Magnolia fino alla ristampa e riedizione delle opere di Carla Lonzi. E' stato un vero e proprio evento che ha visto una numerosissima partecipazione, attenta ed emotivamente coinvolta, di tante donne da molte parti d'Italia, con tante giovani, alcune delle quali hanno preso parola in due relazioni (Beatrice Busi e Liliana Ellena) presentando il punto di vista degli "altri femminismi", delle lesbiche, delle nere, delle trans, come testimoniano anche le ricerche femministe postcoloniali e queer.

Evidentemente, contrariamente a vulgate di vario segno, il femminismo (o i femminismi) non è qualcosa da archiviare, un retaggio del Novecento fuori moda, in virtù di una sorta di traguardo che le donne avrebbero raggiunto in quanto "ammesse" in ruoli professionali e istituzionali (in Italia sempre, comunque, in misura molto scarsa rispetto all'Europa e al mondo).

Quello che Ida Dominijanni con una felice e forte espressione ha definito il "pattume paritario" è in realtà una trappola, una sorta di annessione, di cooptazione, di colonizzazione vera e propria, per cui le donne verrebbero ammesse in un mondo in cui vigono le regole maschili, uno spazio pubblico neutro volto inevitabilmente ad annullare la differenza politica femminile.

L'opera più nota di Carla Lonzi è, come si sa, un testo "eversivo" nei confronti della cultura filosofica e politica tradizionale: Sputiamo su Hegel del 1970 mette insieme, in una sintesi felice e con un linguaggio ruvido, il maggior filosofo della tradizione occidentale moderna con un verbo che nulla ha di accademico (non "studiamo", "critichiamo", "analizziamo" e nemmeno "decostruiamo", ma "sputiamo"), anzi esprime il distacco dall'ordine politico e simbolico patriarcale che, nella sua massima espressione, Hegel appunto, individua la differenza femminile assegnandole un grado inferiore (il privato, la famiglia) nel percorso della filosofia dello spirito. In questo illuminante testo è presente anche una critica molto graffiante al marxismo e al movimento operaio (al marxismo più che a Marx è stato detto), che nella lotta di liberazione dell'umanità dalle catene dello sfruttamento assimilava e dissolveva nella categoria del "genere umano" la differenza del soggetto donna: «La lotta di classe, come teoria rivoluzionaria sviluppata dalla dialettica servo-padrone, ugualmente esclude la donna. Noi rimettiamo in discussione il socialismo e la dittatura del proletariato» (dal Manifesto di Rivolta femminile ) e ancora in Sputiamo su Hegel : «La donna… che all'interno della rivoluzione francese prima, di quella russa poi ha cercato di unire la sua problematica a quella dell'uomo sul piano politico, ottenendo solo il ruolo di aggregato, afferma che il proletariato è rivoluzionario nei confronti del capitalismo, ma riformista nei confronti del sistema patriarcale».

Lonzi in realtà segna un punto di non ritorno nella storia del femminismo del Novecento. Dominijanni ha parlato di "rivoluzione ontologica" e Maria Luisa Boccia ha ritenuto utile chiarire «non in senso metafisico ma nel modo di essere dell'umano». E' con Lonzi che si chiarisce in maniera inequivocabile che la donna non è più la costola di Adamo, quando la sua condizione si trasforma in coscienza: a questo punto Lonzi ( Vai pure, dialoghi con Pietro Consagra , p. 83) fa un'analogia con il movimento operaio, quando la condizione dello sfruttato diventa coscienza di «produrre un profitto al padrone»: a un certo punto la cosa si è chiarita.

Magari c'è stato un intellettuale che ha osservato dall'esterno la scena, e ha scritto Il Capitale . Nel rapporto uomo donna entrambi devono prendere coscienza per cambiare la "condizione", ossia il rapporto di dominio patriarcale.

Lonzi negli anni Settanta ha fatto piazza pulita delle illusioni femminili di entrare nel mondo maschile senza "difesa" ossia senza attrezzi teorici adeguati, senza una vera critica pratica del patriarcato, senza la critica del potere, dei poteri storicamente determinati. Giacché di un potere particolare si tratta, quello che fa leva anche sul personale, sulla relazione amorosa e sessuale, sull'"offerta di sé", sull'oblazione della complicità femminile. Hannah Arendt scriveva: «Gli uomini, tranne i più brutali, non vogliono donne schiave,vogliono donne che amano essere loro schiave». Un dominio millenario, codificato dai patriarcati religiosi, intellettuali, politici. Lonzi ci ha segnato la strada, con grande lucidità e rigore. Dobbiamo essergliene grate, dovunque ci troviamo collocate.

 

Da "Liberazione" dell' 11/03/2010